Margiotta e Sabina: “Autonomia differenziata, l’unità nazionale a rischio frantumazione”.

29 Giu 2022 | News

Uno dei nodi irrisolti del nostro paese è la controversa e complicata ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, disciplinata dal Titolo V della Costituzione.

È un fattore che spesso frena lo sviluppo dei territori ed intralcia l’omogeneità e l’efficacia delle politiche pubbliche: ne abbiamo avuto una plastica dimostrazione nella fase più acuta della pandemia, con i governatori regionali che facevano a gara nell’adottare ordinanze che si distinguessero dai provvedimenti governativi nell’azione di contrasto al virus.

Oggi torna alla ribalta il tema del regionalismo, in occasione della presentazione, da parte della Ministra degli Affari Regionali Gelmini, del disegno di legge-quadro, datato 28 aprile, contenente “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”.

Attraverso questo testo, si punta a creare le condizioni per concedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni che ne facciano richiesta.

Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno già pronte richieste per ottenere praticamente, con qualche distinzione, tutte o quasi le materie che è possibile chiedere in base all’art. 116 della Costituzione.

Il decentramento, in sostanza, riguarderebbe temi strategici come: istruzione, tutela dell’ambiente, professioni, tutela e sicurezza del lavoro, tutela della salute, beni culturali, porti, aeroporti, grandi reti nazionali di trasporto e comunicazione, sport, produzione e trasporto dell’energia, previdenza complementare integrativa ed altri ancora.

Si tratta di asset fondamentali per l’unità del paese.

Il tutto, in assenza, fino ad oggi, di qualsiasi specificazione dei criteri stessi di attribuzione dell’autonomia differenziata. Come dovrebbe scegliere lo Stato a chi concederla? In base al merito, all’opportunità o al bisogno? Ma se una regione è così brava ed efficiente, perché non esercita quelle funzioni con meno risorse?

Il sospetto è che l’obiettivo di chi chiede l’autonomia non sia di garantire con efficacia eguali condizioni di partenza, ma di non rallentare chi parte già avanti.

Nell’indeterminatezza attuale, è facile prevedere una corsa di tutte le Regioni a gestire direttamente quante più materie possibile.

Ne risulterebbe un quadro a dir poco frammentato: con quattro regioni a statuto speciale, due Province autonome e quindici Regioni ad autonomia differenziata!

Ciò, mentre il “federalismo fiscale” non ha ancora avuto attuazione e prima della definizione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni), nonché dei costi e fabbisogni standard.

Si procederebbe quindi semplicemente sulla base della spesa storica (verrebbe cioè cristallizzato il livello di spesa attuale).

Sul piano delle risorse, Governo e Regione contratterebbero il finanziamento delle funzioni trasferite, facendo leva sui tributi maturati nel territorio regionale in questione (e qui si apre il complicato tema del “residuo fiscale”, che fotografa le differenze di reddito tra persone: ma al Nord vivono notoriamente più ricchi rispetto al Sud!).

Ne deriverebbe, per un principio di compensatività, una riduzione delle risorse a disposizione delle altre regioni a seguito della sottrazione, sia pur parziale, di alcuni territori alla compartecipazione alla fiscalità generale, con evidente pregiudizio del principio di uguaglianza.

Sotto il profilo procedimentale, poi, il DDL Gelmini prevede che l’autonomia differenziata sia attuata con intese Stato-Regioni, sul modello di quanto avviene con le confessioni religiose, e con un ruolo secondario, semplicemente consultivo prima (in Commissione) e di mera ratifica poi, del Parlamento, al quale sarebbe precluso invece ogni emendamento nel merito.

Insomma, una sorta di trattativa privata tra Governo e Regione, che marginalizza le Camere.

Sarebbe invece auspicabile una discussione aperta e sistematica su un tema che coinvolge l’intera nazione.

I divari territoriali sono infatti ancora uno dei problemi insoluti dell’Italia: le differenze tra nord e sud sono tuttora enormi, nonostante la UE tenga molto proprio al riequilibrio tra le aree del paese.

 

È evidente allora, con questa ipotesi di autonomia differenziata, il rischio di frantumazione dell’unità nazionale, così come è preoccupante l’impatto negativo che la frammentazione di competenze potrebbe produrre sull’attuazione del PNRR (il quale, in verità, già di per sé, in maniera alquanto discutibile, non si pone per nulla l’obiettivo di ridurre i divari territoriali).

Quanto esposto impegna tutti coloro che abbiano a cuore l’unità del paese, l’uguaglianza delle opportunità e la giustizia sociale, a partire dai sottoscrittori della presente, a vigilare perché non si introducano per questa via ulteriori fattori di diseguaglianza.

La stella polare di ogni riforma non può che essere l’uniforme soddisfacimento dei diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale: non ci possono essere infatti cittadini di serie a e cittadini di serie b.

Siamo fermamente convinti che o il paese cresce nella sua interezza o non crescerà affatto nelle sue singole parti e, pertanto, riteniamo fondamentale sensibilizzare l’opinione pubblica su una questione che, pur riguardandola da vicino, sta finora passando sotto traccia.

 

Sen. Salvatore Margiotta e Nicola Sabina

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